Le Ciuighe del Banale: altro che pane e salame
Molto spesso, per uno spuntino sostanzioso, la classica abbinata composta da “pane e salame” non può certo mancare sulle tavole per la gioia di tutti i commensali. Dai più grandi ai più piccini, infatti, è una mossa che risulta essere sempre vincente. Oggi certamente tale abbinamento risulta essere il più facile, ma come facevano le famiglie di un tempo?
Come abbiamo già visto svariate volte nel corso di questo blog, la popolazione trentina ha sempre dovuto arrangiarsi con quel poco che aveva per sfamarsi. La carne era quindi un bene preziosissimo, ma al tempo stesso il possedere un maiale non significava per forza disporre delle sue parti in libertà. I suoi proprietari, infatti, spesso dovevano vendere le sue carni più pregiate per poter comprare il sostentamento del proprio nucleo familiare con i soldi così ottenuti. Ciò che rimaneva dunque erano gli scarti e le parti meno pregiate, ma come recita l’adagio “bisogna fare di necessità virtù” ( dal latino “mater artium necessitas”). Anche in questi casi emerge tutto l’ingegno e la forza di volontà della popolazione trentina in caso di difficoltà.
Un esempio? La Ciuiga del Banale va benissimo! Ma procediamo con ordine. Si tratta di uno degli insaccati più tipici della zona delle Giudicarie, più precisamente di San Lorenzo in Banale, che consiste in un misto di carne macinata e rape con la giusta dose di aromi e tempo di stagionatura. La sua nascita è riconducibile agli ultimi anni dell’800 quando un macellaio del paese, tale Palmo Donati, tentò questa ricetta per far fronte alle difficoltà economiche della sua comunità. La ricetta piacque così tanto che la ciuiga, dal dialetto “pigna”, venne adottata anche dai suoi colleghi che mantengono ancora viva la tradizione assieme agli eredi del macellaio.
Come veniva preparata dunque questa pietanza? Ricordate che inizialmente la proporzione era 30% carne e 70% rape. Prima di tutto le rape dovevano essere fatte a fette, bollite in un grande paiolo e poi strizzate per togliere quanta più acqua possibile. Dopo questa operazione si doveva procedere alla macinatura delle carni meno pregiate, macinato che poi andava mischiato alle rape con la giusta aggiunta di sale, pepe e aglio. Il tutto veniva poi raccolto all’interno di un budello e lasciato stagionare per otto giorni in una stanza senza camino. Il fuoco veniva poi alimentato con dei rami di ginepro per conferire alla ciuiga un maggiore sapore ed un aroma deciso. Naturalmente si poteva anche mangiarla senza aspettare gli otto giorni abbinandola a patate lesse, cavoli, polenta e/crauti dopo averla fatta bollire in acqua per circa venti minuti. Se, invece, si preferiva aspettare allora era ottima assieme a pane e formaggio visto che prendeva la consistenza di un salame.
La ricetta, come dicevamo prima, è ancora viva nel cuore del Trentino tanto che, tra ottobre e novembre, si tiene la “Sagra della Ciuiga” nel paese natio di tale piatto. Oggi però si usano le parti più pregiate del maiale come spalla, coppa o pancetta, oltre che una maggiore quantità di carne rispetto alle rape. Dunque, dopo aver assaggiato questo piatto tradizionale, perché non passare al Ristorante Birreria Forsterbräu di Trento per un buon boccale di birra?